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“… è così che Cecco d’Ascoli ha due piazze. Una delle quali non ha nulla a che vedere con lui. Ma, d’altra parte, proprio quest’ultima piazza, quella di Ascoli Satriano, si trova ad avere due Cecchi: uno, il grande intellettuale che non le appartiene affatto; l’altro, un bandito, che, purtroppo, le appartiene, come attesta la carta dei Registri Angioini ...”


Cecco d’Ascoli tra una piazza a due Cecchi e un Cecco a due piazze

Più di un secolo fa ad Ascoli Satriano non esisteva una “Piazza Cecco d’Ascoli”. C’èra soltanto Largo Purgatorio, che, sito accanto alla omonima chiesa, costituiva il punto d’incontro dei valloni Pozzello e Fontanella. Poi, nel corso di un secolo, grazie ai movimenti di terra dalle sovrastanti colline Castello e San Potito, si venne formando quella piazza cui fu dato il nome di Piazza Cecco d’Ascoli grazie agli studi di Pasquale Rosario, che rivendicavano l’origine locale del famoso intellettuale del Trecento.

Le notizie che abbiamo sulla vita di Cecco d’Ascoli (Cicchus Esclulanus) sono poche e frammentarie, perché troppi autori e storici del passato ci hanno lasciato biografie arbitrarie e fantasiose, che hanno contribuito soprattutto ad alimentare il clima di mistero e di confusione che grava sulla vita di Cecco d’Ascoli. Il periodo più certo e documentato della sua vita sembra essere quello che va dal 1324 al 1327.

Gli Ascolani di Ascoli Satriano hanno sempre creduto che la vecchia Piazza Cecco d’Ascoli rappresentasse la memoria vivente di un compaesano illustre, un intellettuale tanto importante e così preparato culturalmente da scendere in disputa con Dante, del quale criticò la Divina Commedia ma ne apprezzava le conoscenze astronomiche. A Cecco d’Ascoli, al secolo Francesco Stabili, l’intellettuale in questione, Pasquale Rosario, il più famoso degli storici di Ascoli Satriano, dedicò nel ‘900 un’opera che testimoniava le origini ascolane di Cecco, detto appunto Cecco d’Ascoli; e l’amministrazione comunale dell’epoca decise di dedicare a lui lo slargo principale del paese. Secoli dopo si scopre che Cecco l’intellettuale era sì di Ascoli, ma di Ascoli Piceno; e che l’unico Cecco d’Ascoli “nostrano”, contemporaneo dell’altro Cecco, fu un brigante di Ascoli Satriano fermato il 15 aprile del 1319 mentre, a capo della sua banda, saccheggiava i mercanti di passaggio a Pontecorvo sulla direttrice Puglia-Campania, verso il Beneventano.

Ad escludere totalmente che Cecco d’Ascoli fosse di Ascoli Satriano, nel 1906 l’Accademia dei Licei pubblicava a cura di Vincenzo Paoletti, il più antico documento autentico su Cecco d’Ascoli, cioè un documento dal quale risultava che il padre di Cecco, il notaio Simeone Stabili, aveva alcune terre del monastero benedettino di San Anastasio di Amandola, nei pressi di Ascoli Piceno. L’importanza del documento per risolvere la questione della patria di origine di Cecco d’Ascoli è stata ribadita nel primo Convegno di Studi su Cecco d’Ascoli, svoltosi nel Palazzo dei Congressi di Ascoli Piceno dal 23 al 24 novembre 1969 e i cui Atti si possono consultare presso la biblioteca comunale di Ascoli Piceno oppure presso l’Istituto Superiore di Studi Medievali “Cecco d’Ascoli”, sito nel Palazzo dell’Arengo ad Ascoli Piceno.

E’ così che Cecco d’Ascoli ha due piazze. Una delle quali non ha nulla a che vedere con lui. Ma, d’altra parte, proprio quest’ultima piazza, quella di Ascoli Satriano, si trova ad avere due Cecchi: uno, il grande intellettuale che non le appartiene affatto; l’altro, un bandito, che, purtroppo, le appartiene, come attesta la carta dei Registri Angioini, in data 15 aprile 1319, in cui si racconta come, presso Pontecorvo, dei banditi guidati da un certo Ciccus de Exculo avessero aggredito alcuni mercanti e li avessero spogliato di tutto.


Cecco d’Ascoli, al secolo Francesco Stabili

Cecco d’Ascoli, al secolo Francesco Stabili di Simeone, scienziato, poeta, occultista, filosofo, astrologo e medico. Nato ad Ancarano, presso Ascoli Piceno nel 1269. Della prima parte della sua vita si sa pochissimo. Nel 1324 insegnò astronomia all’ Università di Bologna alla facoltà di medicina dell’Alma Mater e, in seguito ad alcune lezioni dove aveva parlato in senso negativo della fede cattolica, fu condannato dall'inquisitore domenicano Lamberto da Cingoli ad una penitenza di tipo religiosa, oltre al sequestro dei libri di astrologia e la sospensione dall'incarico di docente. Nel 1325, fu reintegrato nel suo ruolo anche grazie all'intercessione dei suoi studenti ed alcune brillanti lezioni, anche di astrologia, gli portarono fama e gloria, a tal punto che Carlo, duca di Calabria e primogenito del re Roberto d'Angiò, lo nominò nel 1326 medico di corte. Insegnò anche nelle Università di Firenze e Parigi. In campo letterario, è noto come autore dell'Acerba, grandioso poema contenente tutta la scienza dell'epoca, che rivela agli studiosi sempre nuovi significati. Come scienziato, Cecco seppe leggere nel grande libro della natura, precorrendo per molti versi il cammino della scienza. Vittima della persecuzione medievale contro la cultura e la libertà di pensiero da parte dell'inquisizione, condannato al rogo dall'inquisitore frate Accursio Bonfantini, affrontò serenamente, la condanna sostenendo le sue idee fino alla fine.  ( Cecco d'Ascoli, ritratto di Ercolani Ernesto, sec. XX )

Nel pomeriggio del 16 settembre 1327, in Firenze, tra Porta a Pinti e Porta alla Croce, si tagliavano le vene della fronte e lo si metteva al rogo. La sua opera principale, il poema L'Acerba rimase quindi incompiuta al V libro.

Tra i sei giudici che emisero la sentenza figurava anche Francesco da Barberino, poeta autore dei Documenti d'Amore (Documenta Amoris). Cecco d'Ascoli seguì quindi la medesima sorte di altri intellettuali del suo tempo, come ad esempio Pietro d'Abano, dediti allo studio dell'astrologia e dell'alchimia, discipline non esplicitamente vietate, ma che spesso davano luogo a sospetti di eresia.

Pur avendo potuto salvarsi, Cecco scelse di non ritrattare le proprie credenze e convinzioni, ma anzi, per ciascuna delle imputazioni che gli erano state rivolte, avrebbe gridato: “L'ho detto, l'ho insegnato, lo credo!”

Dopo un'attenta lettura dell'Acerba, in particolare in codici rinvenuti di recente, appare evidente che ci troviamo di fronte a un vero iniziato, il quale ha racchiuso nella sua opera conoscenze e segreti di alto livello, anche spirituale, e che fu, tra l'altro, in rapporti con i "Fedeli d'Amore" (tra cui troviamo lo stesso Dante. Nota è la polemica fra Cecco e l’amico Dante Alighieri, espressa nell’Acerba e conseguente al diverso modo d’intendere le cose; Dante è accusato da Cecco di nascondere la verità tra i veli dell’allegoria, nelle favole) e con la dottrina della "Sapienza Santa".

La città di Ascoli Piceno ha dedicato un monumento a Cecco d'Ascoli al secolo Francesco Stabili. La statua in bronzo è situata in piazza Giacomo Matteotti. Fu raffigurata severa e solenne dallo scultore fiorentino Edoardo Camilli nel 1919, anche se l'idea di un monumento al grande Eretico nacque in realtà molto tempo prima.

Contese tra Cecco e Dante

Un'altra leggenda popolare fa riferimento alle numerose battaglie dottrinali tra Cecco d'Ascoli e Dante Alighieri, che pure era un suo caro amico. In particolare quest'ultimo sosteneva la capacità dell'educazione di assoggettare l'istinto mentre Cecco era convinto della superiorità della natura. La leggenda vuole che Dante, a conferma delle sue teorie, avesse addestrato un gatto a reggere con le zampe una candela accesa per fargli da lume durante i suoi studi e lo avesse mostrato all'amico. Cecco in risposta si presentò un giorno a casa di Dante portando con sé una gabbia piena di topi; non appena li ebbe liberati davanti al felino questi lasciò la candela ed incurante dei richiami del padrone cominciò a rincorrerli. Per questo nel suo poema accusava Dante di nascondere la verità dietro lo schermo dell'allegoria:

«Qui non si canta al modo delle rane,
Qui non si canta al modo del poeta
Che finge, immaginando, cose vane;
Ma qui risplende e luce ogni natura
Che a chi intende fa la mente lieta.
Qui non si sogna per la selva oscura […]
Lascio le ciance e torno su nel vero
Le favole mi fur sempre nemiche.»

(L'Acerba, IV, 12)

L'Acerba

E' un poema di Cecco d'Ascoli composto di 4.865 endecasillabi in sestine (che l'autore chiama "mosse").
I critici letterari hanno attribuito al titolo dell'opera molti significati, ma dopo l'edizione critica a cura di Marco Albertazzi è evidente che il termine Acerba, riduzione del titolo completo di acerba etas, "acerba vita", ha inteso riferirsi alle questioni inerenti alla vita mondana, che è appunto acerba rispetto a quella matura raggiungibile soltanto dopo la morte. Il titolo, secondo il critico Gianfranco Contini, può riferirsi all'asprezza e difficoltà della materia e della scrittura oppure all'adolescenza mentale ancora acerba, cui Cecco si rivolge per indirizzarla al sapere scientifico. Per altri, invece, il titolo fa riferimento ad "acervus", cioè cumulo, coacervo di vari argomenti, oppure "cerva", come simbolo di scienza. L'Acerba è un vasto riepilogo delle scienze fisiche e morali. L'autore dimostra passione per la scienza e si rivela polemico verso la poesia.

L'opera è suddivisa in quattro libri (e un breve frammento del quinto), suddivisi in capitoli di lunghezza variabile. Disomogenea è anche l'ampiezza di ciascun libro, che varia dai 9 capitoli del libro I, ai 19 del libro II, ai 18 del libro III, e ai 12 del libro IV.

Con il chiaro intento di marcare la differenza tra il suo poema e la Commedia dantesca, Cecco organizza i capitoli per sestine, composte in sostanza da due coppie di terzine di endecasillabi con uno schema metrico che ricorda molto da vicino quello della terza rima incatenata utilizzata da Dante, ma ogni sestina è isolata dalle altre:

«Oltre non segue più la nostra luce
Fuor della superficie di quel primo
In qual natura, per poter, conduce
La forma intelligibil che divide
Noi da’ animali per l’abito estrimo
Qual creatura mai tutto non vide.»
(L'Acerba, lib. I, cap. I, v. 1-6)

E come ogni canto della Commedia è chiuso da un endecasillabo finale, così ogni capitolo dell'Acerba si conclude con una coppia di endecasillabi a rima baciata:

«L'altri animali di vertude nudi
L'estremità possiedon di ciò sempre.
O gran virtù che tutte cose mudi!
O quanto il tuo valor fa bella mostra,
Che vuoi ogni natura che si tempre
Per più benigna far la vita nostra,

O tu che mostri il terzo in una forma
E accendi di pietà la spessa norma!»
(L'Acerba, lib. I, cap. I, v. 79-86)

Le Opere

  • De principiis astrologiae: commento all'opera dell'astrologo arabo Alcabizio
  • Tractatus in sphaerae: commento all'opera cosmografica Sphaera Mundi di Giovanni Sacrobosco
  • De eccentricis et epicyclis: opuscolo di scienza astronomica
  • Prelectiones ordinarie astrologie habite Bonomie
  • Acerba etas: più semplicemente noto col nome di Acerba, compendio enciclopedico, manuale scientifico. È un trattato vario nel quale parla dei cieli e delle loro influenze, dell'anima, delle pietre, degli animali, di vari tipi di fenomeni psicologici e naturali, della fortuna.

Fonte:  
- Cecco d’Ascoli. Tra una piazza e due Cecchi e un Cecco a due piazze di Francesco Capriglione
- Cecco d'Ascoli. Poeta occultista medievale di Anna Maria Partini e Vincenzo Nestler
- https://www.issmceccodascoli.org/cecco-d-ascoli/
- https://it.wikipedia.org/wiki/Cecco_d%27Ascoli
- https://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-stabili_%28Dizionario-Biografico%29/
- https://www.treccani.it/enciclopedia/stabili-francesco-detto-cecco-d-ascoli/
- https://le-citazioni.it/autori/cecco-dascoli/
- https://vivereisibillini.com/2018/02/23/leggende-dei-monti-sibillini-cecco-dascoli-e-le-fate-ballerine/
- https://www.tulliopericoli.com/works/portraits/c/cecco-d-ascoli/id-2323
- https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/1100139599
- https://www.ilmartino.it/2019/03/auguri-per-i-tuoi-750-anni-cecco-dascoli-o-dancarano-ma-dancaria-ovviamente/
- http://www.interbooks.eu/poesia/trecento/ceccodascoli.html


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