Home > Tradizioni > Come eravamo > Le Processioni di Primavera

Le stagioni avevano un decorso più regolare e la Primavera coincideva con quanto scrive il Sommo Dante nel primo canto del Purgatorio: “… con miglior corso e miglior stella / esce congiunta…”.

A noi, l’annunciavano il garrire festoso dei rondoni che, in numerosi stuoli, rioccupavano i tetti delle case lasciati la precedente stagione e la gelateria in via Duomo della rinomata ditta Ungaro ‘Névraménghë’, già da Aprile impegnata nella sistemazione dei locali, onde essere pronta, con i primi caldi, alla tanto attesa apertura. Poi, finalmente, il giorno tanto atteso: cuffie e camici inamidati per le donne, giacche e berretti alla marinara per gli uomini (tutto rigorosamente in bianco), una ricca varietà di cremeria e coni dalla croccante cialda, sistemati su dei supporti a castello, erano lì che stuzzicavano la nostra golosità, con un’offerta di prezzi accessibili a tutte le tasche: pasckariéllë (gelati) da cinchë, diecë e vintë lirë. Nel mese di Maggio: nella prima domenica si svolgeva la processione della benedetta icona della Misericordia. Con una grande partecipazione degli ascolani (bambini, terziarie, uomini e donne di Azione Cattolica, Congreghe, religiosi, Capitolo dei Canonici, Vescovo, paliotto con Santo, autorità, banda, popolo) si percorreva lo stesso tragitto di oggi, ma in orario scrupolosamente antimeridiano.

A Giugno si celebrava il Corpus Domini. La processione era curata dalle Suore di San Giovanni che preparavano i bambini dell’asilo e altri più grandicelli a far da cornice al trionfale corteo eucaristico: due file di piccoli dai grembiulini bianchi con ben stretta nelle mani una lunga ghirlanda intrecciata con fiori di seta; due schiere di angioletti con ali distese su vesti di raso azzurro, rosa e verde, che portavano a tracolla dei cestini pieni di petali di  rose da spargere lungo il percorso; al centro due ragazzi vestiti da santo Stefano e  san Tarcisio; un manipolo di paggetti, in costume seicentesco ,con baschi dal pennacchio di struzzo e sciabole sguainate sulle spalle, affiancava il paliotto; sotto l’ombrello sorretto dal Sindaco o dal Pretore,  procedeva il Vescovo con l’Ostensorio,  mentre tutti in coro si cantava: “ Oh che bel giorno beato il ciel ci ha dato / Oh che bel giorno beato, viva Gesù, viva Gesù… ”.

Nelle ore pomeridiane del sabato antecedente le altre processioni ci recavamo nei campi per raccogliere fiori: i purpurei papaveri ( con i pistilli, premendoli sulla fronte, si lasciavano le impronte a stella; con i petali, poggiandoli sul pugno, con una stretta fessura tra il pollice e l’indice, si facevano schioccare battendovi il palmo dell’alta mano, di qui l’onomatopeia di ‘li sckacchëlë’; gigli e giaggioli selvatici, rose canine, corolle di ginestre, grappoli di aulenti acacie, tante margheritine che, forando gli steli infilavamo una nell’altra: era una cascata di boccioli dai vividi colori da fare invidia alle sfavillanti e cromatiche tele dell’estroso Van Gogh. Dopo averne fatta abbondante scorta, al rientro sistemavamo i profumati petali nei canestri per il giorno seguente.

La domenica: dai poggi, dai balconi, dalle finestre, al passaggio delle Processioni lanciavamo i variopinti germogli.


Fonte:
- Cummë jucammë na votë ( Giochi e tradizioni Ascolane ) di Franco Garofalo


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